In questa scheda riportiamo dei brani tratti da
Ignace Mejerson “L’incompiutezza delle funzioni” da “Psicologia storica” – Nistri-Lischi – Pisa – 1989“
- “L’atteggiamento degli scienziati e dei filosofi relativamente al problema della conoscenza scientifica ha subito da un secolo e mezzo, dei mutamenti molto notevoli per lo psicologo.La scienza appare a Kant come praticamente compiuta. Egli è «sconvolto», lo si è detto spesso, dalla fisica di Newton. Le nostre conoscenze possono estendersi, ci sono nuovi fatti da raccogliere, da accumulare ma l’essenziale è acquisito. Soprattutto i principi ed i quadri non possono variare. Comte ancora conserverà una posizione analoga. I progressi della fisica e della chimica nel corso del XIX secolo distruggeranno questo dogmatismo. Si penserà che non ci sono solo dei fatti nuovi da raccogliere, ma che concezioni importanti possono subire dei cambiamenti.La fisica contemporanea porta a tali convinzioni una trasformazione ancora più radicale. Il cambiamento tocca stavolta i principi, i quadri essenziali, i fatti di base.
Prendiamo l’esempio più semplice: la nozione d’oggetto, e misuriamo il cammino percorso dall’oggetto del senso comune all’oggetto del fisico d’oggi.
Gonseth riassume bene la situazione quando scrive che l’oggetto ha perduto tre proprietà tra le più caratteristiche: quelle «d’avere una forma determinata, d’esistere senza reticenza e di occupare un luogo determinato dello spazio». L’elettrone è un «pacchetto d’onde» o un «pacchetto d’energia» senza contorni ben limitati; la sua «esistenza» si riduce ad una probabilità nel seno di un raggio d’elettroni; la forma spazio-tempo non conviene che alla descrizione macroscopica dei fenomeni, e non è più supporto adeguato dei fenomeni atomici individuali C’è di più: non solo si constatano dei cambiamenti radicali, ma si sente, si sa che nuovi cambiamenti radicali si produrranno: si stabilisce così la convinzione dell’incompiutezza della ricerca scientifica. La conoscenza è incompiuta, ed è un mancato compimento forzato ed essenziale. Allo stesso tempo, dei teorici della conoscenza mostrano che il fatto scientifico è in parte opera della mente. La distanza tra la ragione e l’esperienza tende a cancellarsi; si tende a scartare le false opposizioni dovute alle implicazioni del linguaggio, ad ontologie antiche. Tutto quest’ insieme di fatti porta lo psicologo alla nozione secondo cui il principio dell’incompiutezza risiede nella stessa mente.
Le funzioni psicologiche partecipano dei cambiamenti della conoscenza e dell’incompiutezza della conoscenza. Sono esse stesse per essenza sottoposte al cambiamento, incompiute e incompibili. E, se questo è vero delle funzioni più precise ed il loro esercizio poteva inclinare ad una certa costanza: il ragionamento, il pensiero scientifico, questo deve essere vero a fortiori delle funzioni che per la loro stessa natura offrono condizioni di minore stabilità. L’esame diretto delle funzioni psicologiche arriva alla stessa conclusione. Non sono stabili, fisse, delimitate, compiute che solo in modo approssimativo. L’analisi che ha portato ad accettare il principio del loro cambiamento porta anche a pensare che sono incompiute e incompibili. Il fatto deve essere compreso in due sensi. Le funzioni si modificano nel tempo, nel corso della loro storia, in modi diversi e tali che per nessuna si può dire che non tende verso un limite, verso una forma che si può sentire, una perfezione che s’intravede. Per tutte, la storia mostra non solo delle inflessioni o delle oscillazioni, ma anche talvolta delle inflessioni imprevedibili e dei cambiamenti in ciò che pare meglio formato.
Considerate non solo nel loro divenire ma in ciascuno dei loro stati, appaiono come mal circoscritte, mal delimitate o separate le une dalle altre. Per ciascuna, una sorta di nocciolo centrale, un certo numero di proprietà fondamentali possono essere precisate; al di là si estende una zona in cui le determinazioni precise diventano difficili.
Questa zona d’indeterminatezza non è la meno interessante per lo storico. E lì forse che si elabora il nuovo, come in biologia in cui sono le forme meno caratterizzate che sono nella via dell’evoluzione. Prendiamo qualche esempio: la dimostrazione dell’indeciso e dell’incompiuto nei sentimenti è appena necessaria. Quando si tenta di fare la storia di un sentimento attraverso gli aspetti che le opere ne hanno conservato, i punti di condensazione successivi, si ha sempre l’impressione che ci sia più e altro di ciò che si è espresso. Appartiene alla natura dei sentimenti di tradurre degli stati globali, una parte soltanto dei quali può attualizzarsi. Ciò che non si esprime in maniera chiara e completa ci pare tuttavia forte e grave. «In ogni sentimento profondo, scrive Delacroix, c’è un punto in cui cessa la qualità propria del sentimento, in cui il sentire, esaltato in qualche modo dal sentimento preciso, lo supera e si affonda in sé, nella propria esaltazione». Si ricordi anche quel che Delacroix ed altri hanno scritto dell’amore e della mistica, dell’amore e della musica.
L’analisi degli atti ci ha fatto già cogliere dei tratti analoghi. Abbiamo osservato lacune nei loro contorni. Gli atti sono sistematici, ma l’abbiamo visto, vi si mescola una certa imprevedibilità. È forse significativo che il romanzo d’oggi si sia sforzato di circoscrivere la strana zona dell’atto «senza motivo». Nessuna vita collettiva è possibile senza convenzioni e regole strette, e, si è detto spesso, nessuna vita collettiva è possibile se si applicano tutte le regole. Abbiamo una estrema preoccupazione delle forme, ed abbiamo da molto tempo abbandonato ogni dogmatismo della forma. Quel che sappiamo del segno ci mostra non solo che i significati cambiano ma che hanno una parte d’indeterminatezza essenziale.
Guardiamo la storia della persona. La nozione s’è arricchita di apporti successivi, è parsa condensarsi, prendere l’aspetto sostanziale. E divenuta un tema importante della riflessione morale, ed anche della letteratura. Una forma letteraria si è precisata e sviluppata, il romanzo, prendendo come oggetto l’espressione della persona. Ma ecco che scrittori contemporanei, più attenti a scrutare e a descrivere gli stati dell’io, ce ne mostrano le variazioni, gli aspetti frammentari o sfuggenti o contraddittori. C’è non solo una sostanza ma un’esperienza della persona.
Il romanzo psicologico e talvolta il dramma tendono anche a dissolvere la persona, a disperderla quasi nei suoi momenti, i suoi atti successivi, o nei suoi aspetti e le sue maschere. L’io vi appare come un’oscillazione tra queste dispersioni e degli sforzi per riunire qual che è stato sparpagliato. Così in Marcel Proust, o in Pirandello, in Joyce o in Virginia Woolf. Ed abbiamo l’impressione che non si tratti di un artificio letterario, ma di una verità psicologica essenziale, tradotta in maniera particolarmente felice da scrittori di grande talento, ma espressa anche in altre maniere: dalla critica filosofica, dall’osservazione psicologica e clinica.
Le variazioni della persona, le variazioni dei sentimenti ripropongono davanti a noi il problema che ha già posto l’esame del pensiero impegnato nella scienza: l’azione ed il posto delle opere: di fronte all’incompiuto delle funzioni, i compimenti successivi delle opere. Queste rappresentano ciò che è chiaro, ciò che può essere precisato. Lo spirito si determina successivamente nelle sue creazioni, si ferma in ciascuna, ciascuna corrisponde ad un aspetto ed a un gradino della sua storia. Sono delle opzioni, delle decisioni e delle incarnazioni, Tali opere e tali forme fisse l’uomo le ha sempre desiderate, ne ha auspicato la conservazione: la fissità delle opere, la tenacia nel crearle, la preoccupazione di conservarle hanno fatto pensare che la mente stessa avesse una forma immutabile, precisa, compiuta. La loro diversità di natura, la parte d’imprevisto nella loro successione, ci orientano oggi, lo si è visto, verso la concezione contraria. Ma questa diversità non è soltanto testimonianza, è anche agente. In ogni opera ci sono prolungamenti, virtualità da sfruttare, scoperte da fare. Ciascuna ha un valore esemplare. E, d’altra parte, ciascuna è parziale ed un po’ parziale; donde l’oscillazione ulteriore delle funzioni che saranno state impegnate in queste opere. Come il pensiero scientifico e la ragione si fanno e si orientano tramite l’esperienza e la scienza, così i sentimenti, la persona, la volontà si fanno e si orientano tramite le opere, le istituzioni e gli atti.
Questa azione sembra esercitarsi perfino sulle funzioni di base. Quando una generazione trova bello e normale un genere, uno stile di pittura che ha stupito o turbato una generazione precedente, quando oggi dei bambini apprezzano subito Braque o Picasso, si deve dire che, sotto l’azione delle opere, in un’epoca in cui l’opera si espande e si volgarizza, la percezione si è leggermente modificata . Parliamo d’educazione estetica, ed in maniera più generale d’educazione dei sensi. Fino a qual punto una nuova visione delle forme e dei colori può modificare la visione delle forme e dei colori in generale? Qual’è il «differenziale» di questo mutamento? Sembra che la questione meriti, almeno, d’esser posta.
Il problema delle trasformazioni della funzione immaginativa si lega strettamente a questi problemi di percezione. Ad una seduta della Societé de Philosophie, Paul Valery dichiarava: «Credo che siamo arrivati ad un punto critico, al momento d’una crisi della possibilità d’immaginare… Possiamo ragionevolmente parlare in termini visuali di cosa che suppone la visione? .. .Non siamo al punto in cui bisogna prendere una decisione riguardo alle immagini ed al loro ruolo? Mi domando se il sistema delle nostre immagini possibili non dovrebbe essere definito e delimitato, a meno che non si sia già fatto?»….. Matisse scrive: «i nostri sensi hanno un’età di sviluppo che non viene dall’ambiente immediato, ma da un momento della civiltà». (R. Escholier, Henri Matisse, Paris 1937, 156, cfr. A. Lhote, De la palette à l’écritoire, 383.)…….
Tali osservazioni mostrano il posto delle opere, dei compimenti, nella vita delle funzioni. Le opere sono prima di tutto testimonianza. Fissano, riassumono e conservano ciò che gli uomini di un tempo sono riusciti a fare ed esprimere. Sono spesso testimonianza eminente: quando traducono, non un pensiero medio, ma un pensiero nuovo, un momento in cui la mente ha teso a progredire a superarsi. Agiscono: il pensiero nuovo di alcuni diviene un pensiero nuovo d’un gran numero. Così si precisa l’oggetto di ricerca cui conduce la loro analisi comparata: non la conoscenza dell’attività mentale unica, ma la conoscenza delle funzioni psicologiche come sì elaborano nella diversità complessa e concreta della loro storia.” ( pag. 151 e seguenti)
Meyerson, Ignace. – Psicologo (n. Varsavia 1888 – m. 1983), nipote di Émile. Trasferitosi a Parigi nel 1906, vi compì studî di medicina, scienze e filosofia. Nel 1923 divenne direttore del laboratorio di psicologia fisiologica dell’Istituto di psicologia dell’università di Parigi. Segretario di redazione (1920) e dal 1938 direttore del Journal de psychologie normale et pathologique, M. rappresenta l’indirizzo della psicologia storica, inteso a correggere gli aspetti deterministici della sociologia di É. Durkheim, maturato nel rapporto con studiosi di sociologia e di storia come M. Mauss e L. Gernet e recepito nella ricerca di J.-P. Vernant e della sua scuola. La sua concezione della psicologia storica è consegnata in particolare al libro Les fonctions psychologiques et les oeuvres, che è anche la sua thèse de doctorat (1948). Costituiscono l’oggetto di questa disciplina le funzioni psichiche, i quadri mentali e le loro trasformazioni, perseguiti attraverso le opere create dall’uomo nei diversi ambiti, dalla lingua alle istituzioni sociali, dalla religione alle tecniche, alle arti. Vedi il filmato in spagnolo.