Il presente articolo di Luciano Mecacci e apparso Domenica 09 Luglio 2017 sul ‘Sole 24 ore’.
Nel 1978, sulla New York Review of Books, il filosofo Stephen Toulmin consacrò Lev Vygotskij come «il Mozart della psicologia», un genio pari al grande musicista, un innovatore le cui idee avrebbero potuto produrre chissà quali risultati in psicologia se non fosse morto prematuramente (a 37 anni e mezzo nel 1934). Toulmin si basava solo su due libri di Vygotskij tradotti in inglese, eppure erano stati sufficienti a crearne un mito che durò fino a tutti gli anni ’90. La pubblicazione dei Taccuini di Vygotskij, presentati a Mosca lo scorso 30 maggio, e esauriti il giorno stesso, rappresenta la conclusione di un ciclo di rivisitazione storica dell’opera di uno dei più originali psicologi del Novecento. Il libro, che uscirà anche in inglese da Springer, è stato curato da Ekaterina Zaveršneva, giovane psicologa moscovita di grande talento, e dall’olandese René van der Veer, il maggiore storico occidentale dell’opera di Vygotskij. I curatori hanno ordinato e selezionato centinaia di pagine di appunti presi su quadernetti, conservati dalla famiglia, e ne è risultato un sorprendente volume di 600 pagine.
Per capire come la figura intellettuale di Vygotskij, non solo lo psicologo, ne esca profondamente mutata, bisogna riandare a qualche decennio orsono, perlomeno ai primi anni ’70 quando ancora circolava il mito di Vygotskij psicologo originale ma sfortunato. Sono anni che posso rievocare personalmente, avendo studiato in quel periodo all’Istituto di psicologia di Mosca, a cento metri dal Cremlino, dove Vygotskij aveva lavorato e pure abitato con la moglie, in una stanzina del sottosuolo.
Vygotskij, mi dicevano, aveva avuto idee brillanti, ma era un teorico, quasi un filosofo. E sulla sua vita non mi davano molte informazioni. Successe però che la figlia Gita, una pedagogista, volle incontrarmi (gennaio 1972), su suggerimento di Aleksandr Lurija, l’altro grande protagonista della psicologia russa, collaboratore stretto di Vygotskij negli anni ’20 e ’30. Gita mi mostrò una serie di libri e documenti del padre che non avevo mai visto (tra cui quelli messi al bando nel 1936 da un decreto del partito comunista, bollati come «scienza borghese»). Ma soprattutto mi permise di fotocopiare le prime pagine del manoscritto di Pensiero e linguaggio, il capolavoro di Vygotskij, uscito postumo nel 1934. Quando è stato messo in dubbio dagli stessi russi che fosse esistito quel manoscritto, mai più ritrovato, ho dovuto esibire quelle vecchie fotocopie, scrupolosamente conservate. Lessi Vygotskij pure in samizdat’ in una delle tante copie battute a macchina con carta carbone, e come sanno gli esperti del settore, quasi illeggibili. Ricordo anche Leonid Radzichovskij, divenuto uno dei più noti giornalisti politici russi, che mi spinse a guardare a un «altro» Vygotskij, non quello ufficiale, e Lurija che mi prestò e mi obbligò a leggere testi che all’epoca non circolavano (alla Biblioteca Lenin a Mosca, oggi Biblioteca Statale, erano tra i libri confinati nell’inaccessibile specchran, lo special’noe chranenie, il fondo speciale, sul quale si veda il libro di Maria Zalambani, Censura, istituzioni e politica letteraria in URSS, 1964-1985, Firenze University Press, 2009). Per la rivisitazione di Vygotskij cominciai con Pensiero e linguaggio e, traducendolo per Laterza dalla prima edizione del 1934, scoprii che nella ristampa russa del 1956 erano stati introdotti tagli e interventi redazionali, gravissimi sul piano storico, e che altrettanto era stato fatto nel 1982 (solo nel 2001 è stata ristampata l’edizione russa integrale). Lo stesso era accaduto per altri suoi scritti. Per decenni s’era letto un Vygotskij non corrispondente all’originale. Il mito vygotskiano era stato costruito su un castello deformato ad arte.
Perché Vygotskij era stato osteggiato così tanto? Era sufficiente la spiegazione che, in fondo, non era un materialista dialettico, ma un cripto-idealista con i suoi riferimenti a psicologi come Freud e a filosofi come Husserl? (Vygotskij aveva studiato con un allievo di Husserl, Gustav Špet, fucilato nel 1937 per «attività antisovietica»). Era bastata questa sua sospetta anima filoccidentale e borghese a farlo attaccare da giornalisti prezzolati sulla stampa ufficiale nei primi anni ’30?
Oggi i Taccuini ci permettono di rispondere a questi interrogativi, di riempire molti vuoti biografici e storici che non erano stati colmati finora. La prima colpa, e questa sarebbe bastata a spedire Vygotskij in un lager o a finir peggio, se la morte non fosse sopravvenuta, era di essere ebreo. Peggio, un esponente della cultura ebraica raffinata tra Gomel’ e Mosca, il redattore di riviste e case editrici in cui comparivano in maggioranza nomi di letterati ebrei. Ora sappiamo dalla sezione «la questione ebraica» dei Taccuini che Vygotskij si adoprò attivamente per combattere il persistente antisionismo russo, prima e dopo la Rivoluzione. Fra l’altro qui sono riprodotti frammenti di un’opera risalente al 1915 (Vygotskij aveva 19 anni) sulle peculiarità della storia del popolo ebraico. Già nel 1919 il suo nome compariva come autore assieme a quelli di Belyj, Blok, Erenburg’, Esenin, Gor’kij e Majakovskij nel libro Poesie e prosa sulla rivoluzione russa. Era amico stretto di intellettuali che sarebbero stati liquidati dalle purghe staliniane, come il cugino David, noto poeta e traduttore, o il poeta Osip Mandel’štam (la cui moglie Nadežda in L’epoca e i lupi ricordava Vygotskij come «un individuo dalla mente profonda»), era amico di Pasternak e di Ejzenštejn.
L’altro aspetto critico è l’appartenenza di Vygotskij alla Società psicoanalitica russa, la cui sede era nella splendida casa Riabušinskij nel centro di Mosca, poi abitazione di Gor’kij, e dove vi era anche il famoso Asilo psicoanalitico frequentato dai figli della nomenklatura sovietica (compreso il figlio di Stalin, Vasilij). La psicoanalisi fu proibita alla fine degli anni ’20, con seri rischi personali se si fosse scoperto che era praticata come terapia o difesa come teoria (uno degli esponenti più importanti, Ivan Ermakov, morì in prigione nel 1942). Tuttavia, dai Taccuini emerge che la posizione sempre più scomoda di Vygotskij negli ultimi anni della sua vita dipendeva dai legami politici che risalivano a quando nel 1925 si era trasferito da Gomel’, dove era un attivo ma semplice insegnante, a Mosca, divenendo una delle personalità più influenti della psicologia e pedagogia sovietica. Fino a pochi anni fa non si sapeva che aveva ricevuto vari incarichi istituzionali d’alto livello nel campo dell’istruzione, in particolare nell’educazione dei bambini disabili. Dipendeva direttamente da Anatolij Lunačarskij, commissario del popolo (ministro) dell’istruzione, ed era in contatto personale con Nadežda Krupskaja, pedagogista, moglie di Lenin. Non era quindi uno psicologo da laboratorio o da scrivania, come molti psicologi occidentali, Piaget in primo luogo, cui è stato paragonato, ma era un ricercatore politicamente impegnato. Comunque al governo stalinista doveva disturbare non tanto il rapporto con la vecchia guardia leninista, progressivamente falciata via, ma quello ideologico con Trotckij. Questo fu, secondo me, il vero problema: alla fine Vygotskij fu tacciato di trockismo per il suo marxismo eterodosso, per i suoi riferimenti (poi omessi in tutte le edizioni anche recenti delle sue opere) alla concezione di un «superuomo» figlio della nuova società socialista, un’idea che aveva proposto il «nemico del popolo» numero uno. In un appunto del 1926, Vygotskij mise insieme nientemeno che – in quest’ordine – Trockij, Freud e Marx come gli autori chiave per la fondazione di una psicologia marxista (Trockij aveva apprezzato la psicoanalisi). Non era gradita inoltre la posizione critica di Vygotskij, e per questo fu duramente attaccato, sulla soluzione staliniana del problema delle nazionalità e sulla forzata panrussificazione della scuola e della cultura delle repubbliche dell’Unione Sovietica. Nei suoi scritti non citò mai Stalin. Vygotskij rimase sempre un uomo libero, non a caso il suo modello di intellettuale era Spinoza.
L’ultimo appunto risale a poco prima della morte. Vygotskij cita un passo del Deuteronomio (Dio mostra a Mosè la terra promessa, ma gli dice che non vi entrerà), sentendosi ormai nella stessa situazione: anche lui ha indicato nuove vie alla psicologia, ma non potrà percorrerle fino in fondo. Chiude citando dall’Amleto, cui aveva dedicato nel 1916 la sua magnifica tesi di laurea: «Il resto è silenzio».
.