In questi giorni circolano nel mio cervello alcuni modi di dire oramai entrati nel senso comune anche se a rigore sotto intenderebbero valenze tecniche. Niente di nuovo… ma a volte succede che, alcuni elementi visti fino a quel momento in maniera separata, tutto d’un tratto, per pressioni cui sono sottoposti o per contesti in cui sono inseriti (soggettivi od oggettivi), cambiano d’aspetto , dialogano tra loro e fanno riflettere.
I modi di dire sono tre:
interpretare un sogno – elaborare un lutto o un dolore – riabilitare un arto.
Il primo, l’interpretazione del sogno, ci richiama alla psicoanalisi dove, attraverso libere associazioni, linguaggi primari, spostamento di affetti, vengono superate censure ecc.. fin tanto che, alcuni “elementi” presenti nel sogno e incomprensibili alla loro prima apparizione, diventano comprensibili e utilizzabili consciamente. Attraverso l’interpretazione, il loro significato e il loro essere “struttura inconscia” non è più tale, diviene conscia e quindi gestibile.
Nell’elaborazione del lutto sembra esserci un processo per cui, dopo un evento doloroso, tutto si richiama ad esso riproducendone il dolore e rendendolo sempre presente. Come se i valori e la semantica della storia individuale, soggettiva, fossero strettamente dipendenti dal “dolore legato a quell’evento” e non si riuscisse a staccarsene. Gli affetti di situazioni diverse sembrano essere condizionati a quell’unico affetto legato all’ elemento doloroso. La rielaborazione, almeno cosi sembra essere nel senso comune, aiuta a reinquadrare quell’evento in un contesto diverso scindendo l’affetto doloroso dagli oggetti e dalla prassi quotidiana, decondizionandoli e rendendoli così utilizzabili in una normalità non “dolorosa”. La rielaborazione sembra poter elidere quel legame inconscio, automatico, che fino a prima rendeva impossibili questa lettura “normale” delle cose.
Il concetto di riabilitazione, viene usato di fronte ad un trauma per cui, spesso causa un incidente, una persona perde o invalida pesantemente un arto. Supponiamo una mano: necessita quindi reinserire azioni o procedure che erano prima svolte da quella mano su parti diverse del corpo, l’altra mano, e c’è chi per esempio, senza mani riesce dipingere con le dita dei piedi. Il lavoro riabilitativo oltre ad “insegnare” cose nuove ad arti diversi, deve contemporaneamente ristrutturare cose vecchie, già apprese, e precedentemente condizionate all’ arto ora mancante. Ancora una volta un qualche cosa di automatico ed inconscio viene recuperato e riportato a nuova coscienza e prassicità.
Se le cose stanno così viene da chiedersi se il concetto di riabilitazione e le tecniche conseguenti, o i loro presupposti logico-cognitivi, non possano essere usati anche per i sogni e se l’effetto del trauma non possa essere interpretato in base a ciò che prima quel dato arto svolgeva. Nel contempo e comunque, una rielaborazione complessiva del materiale inconscio dei sogni o della prassi fattuale dell’ arto mancante potrebbero essere cose utili. Tecniche diverse da adoperarsi scambievolmente.. sarebbe un aiuto non secondario.
Queste riflessioni si sono collegate, inconsciamente, ma dal momento che lo hanno fatto, anche consciamente, ad un vecchio articolo di Cesare Musatti “Psicoanalisi e simulazione” in ( Chi ha paura del lupo catttivo – Editori Riuniti -1987) dove stanno scritte le seguenti considerazioni:
“Il titolo del libro – Die Traumdeutung (L‘interpretazione dei sogni) – induce ad alcune considerazioni. Freud volutamente usò l’espressione stessa che, in lingua tedesca, veniva tradizionalmente adoperata per quello che da noi è il Libro dei sogni, oppure la Smorfia (Smorfia, che nella sua apparente derivazione greca, sembra significare decifrazione). Era come se egli avesse voluto mettersi sullo stesso terreno della interpretazione popolare, per sviluppare un, ovviamente diverso, tipo di interpretazione… Questa scelta del titolo, e la parentela con una concezione di tipo superstizioso e volgare (come si voglia dire) risultò, in certo modo, qualche cosa di azzardato. (Va anche ricordato che scelse quel titolo per tentare che la sua opera fosse o diventasse ‘popolare’ per poter venderne più copie – n.d.r -)
Gli studiosi, considerati seri in quell’epoca, psichiatri e psicologi, presero alla lettera la parentela del libro di Freud con la concezione popolare dei sogni. E senza neppur leggere il libro (come qualcuno in seguito confessò) espressero tutto il loro sdegno per il fatto che Freud si fosse permesso di utilizzare la superstiziosa interpretazione popolare dei sogni, per elaborare un metodo di cura degli ammalati mentali. Sappiamo che il libro costituì un fallimento editoriale…..
Il titolo della Traumdeutung, ebbe anche un’altra conseguenza.
L’intera attività psicoanalitica, da parte di Freud e di coloro che ne seguirono le orme, si sviluppò mantenendo la primitiva locuzione Deutung, interpretazione.
Interpretazione dei sintomi nevrotici, della vita emotiva infantile, della produzione letteraria ed artistica, dei fenomeni politici e sociali, e via dicendo. Freud si rese ben conto che la parola «interpretazione» era ambigua. Deutung, das schreckliches Wort [Interpretazione, quale orribile parola!], disse nel 1926 nel Problema dell’analisi condotta da non medici.
Perché orribile? Perché da un lato contiene una con-notazione che fa pensare alla arbitrarietà, alla gratuità, dall’altro indica invece una certa pretesa di cogliere una realtà vera, al di sotto di un velame che quella realtà nasconderebbe.
Pur esprimendosi in questo modo per l’uso del termine «interpretazione», Freud per molto tempo non osò bandire questa parola dal suo vocabolario. Bisognò arrivare alla fine del 1937 (poco prima dell’occupazione del l’Austria da parte dei nazisti dunque, e dell’emigrazione di Freud in Inghilterra) perché egli si decidesse a ripudiare il termine interpretazioni, sostituendolo con quello di costruzioni: Konstruktionen in der Analyse.
Qual è il significato di questa innovazione?
Costruzioni, non nel senso di ricostruzioni (Nachkonstruktionen, o come altro si potrebbe dire in tedesco), non cioè con la pretesa di cogliere qualche cosa che debba essere considerata nascosta, o decomposta, ma tuttavia obiettivamente reale. Costruzioni invece dell’analista, soggettive dunque: che debbano soltanto servire ad una sistemazione dei dati raccolti. In termini di realtà, anche se quella realtà non è per definizione osservabile, cosicché non si può neppure dire se effettivamente ci sia, o non ci sia.
Un modello quindi: come i vari modelli delle scienze fisiche, per quelle zone di realtà che non sono direttamente osservabili, in quanto collocate o al di sotto, o al di sopra, delle ristrette soglie delle nostre facoltà percettive. Con Konstruktionen in der Analyse, l’ultimo lavoro pubblicato a Vienna prima dell’esilio, Freud ha collocato la psicoanalisi sulle stesse posizioni moderne delle altre scienze della natura.”
Se le cose stanno così, Musatti, il Grande Vecchio della psicoanalisi italiana, bene avrebbe fatto a tradurre , in qualità di curatore dell’opera omnia di Freud, psicoanalisi con psicanalisi. Linguisticamente ne avrebbe guadagnato il concetto di unità come corpo di disciplina scientifica. (Non quindi analisi della psiche, psicoanalisi, ma psicanalisi.. disciplina unitaria). Ma.. come abbiamo visto… dobbiamo essere elastici perché le parole sono strumenti e non verità.. per quanto poi troppo spesso lo diventino e a volte.. c’è chi finge non lo siano